VILMINORE DI SCALVE

Vilminore di Scalve [vilmiˈnoːɾe disˈkalve] (Vilminùr [vilmiˈnuɾ] o Ilminùr [ilmiˈnuɾ] in dialetto bergamasco) è un comune sparso di 1459 abitanti.
L’origine del borgo risale al periodo della dominazione romana, quando venivano utilizzate le grandi risorse minerarie di ferro e zinco della zona.
Qui venne istituito un Vicus, a cui il paese deve l’origine del proprio toponimo: Vicus Minor sta difatti ad indicare l’esistenza di un piccolo agglomerato urbano (idem Vicus Maior per Vilmaggiore).
I secoli successivi videro il borgo passare sotto il controllo del Sacro Romano Impero guidato da Carlo Magno, che donò l’intera zona ai monaci di Tours. Questi successivamente la permutarono in favore del Vescovo di Bergamo, il quale diede investitura feudale ai Capitani di Scalve.
Questi ultimi furono di fatto esautorati dalla costituzione dell’Universitas di Scalve, una piccola istituzione feudale molto simile ad una repubblica, che garantiva grandi privilegi agli abitanti ed un’autonomia al limite dell’indipendenza. Questa garantiva l’esenzione del servizio militare, libertà di caccia e pesca, nonché sgravi fiscali e la possibilità di sfruttamento delle miniere presenti in zona. Grazie a queste ultime si sviluppò il commercio, favorito anche dagli scambi con la val Seriana che avvenivano mediante il Passo della Manina, posto a monte delle frazioni di Nona e Teveno.
Con il passaggio alla Repubblica di Venezia, avvenuto nel XV secolo, Vilminore mantenne i privilegi conquistati precedentemente, e venne aggregato nella Comunità grande di Scalve, di cui fu capoluogo.
Soltanto nel 1797, con la fine della Serenissima e l’avvento della Repubblica Cisalpina, acquisì la propria autonomia comunale.
La storia recente è stata caratterizzata dal disastro causato dal crollo della Diga del Gleno, posta a monte dell’abitato. Il cedimento, avvenuto il 1º dicembre 1923, riversò una grandissima quantità d’acqua sui piccoli centri abitati sottostanti, provocando la morte di centinaia di persone e causando ingentissimi danni all’intera zona. A seguito di questo tragico evento, per parecchi anni l’economia della valle fu messa in ginocchio, causando un processo di emigrazione dalla valle.
La chiesa Arcipresbiteriale, risalente al XVII secolo, fu edificata dai maestri Comacini in luogo di una pieve di lontanissima costruzione che fu a lungo sede della Vicaria Plebana, è intitolata a Santa Maria Assunta e San Pietro, e presenta sculture ed affreschi di pregio.
Chiesa di San Pietro alla Pieve è invece il piccolo oratorio conosciuto anche come Tempio del donatore’ ed è di antica edificazione, forse del priedificazione. Tra le chiese delle varie frazioni, tra cui quella della Santissima Trinità a Vilmaggiore, le parrocchiali di Teveno e Pezzolo che presentano strutture ed opere scultoree di grande impatto e quella di Nona che, intitolata alla Natività di Maria, risale al XVII secolo.
Notevole importanza riveste il palazzo Pretorio, edificato nel 1375 ed ampliato due secoli più tardi. Recentemente restaurato, ospita la sede della locale Comunità montana.
“Site viator lege et disce funest sup. lapide bannitorum capita reponuntur”.
E’ questo l’inquietante monito inciso su una lapide posta lungo la facciata del Palazzo Pretorio di Vilminore di Scalve, un avvertimento che riconduce il visitatore a un passato ormai scomparso.
Simbolo di un’intera vallata, l’edificio venne realizzato a partire dal 9 gennaio 1375 quando i rappresentanti delle famiglie dell’area riuniti nell’antica Pieve di Scalve e deliberarono la realizzazione della nuova residenza del Podestà.
Chiamato dai membri della vicinia di Scalve, il magistrato proveniva da un territorio esterno alla vallata provvedendo ad emanare sentenze sia civili che penali.
Affacciato sulla piazza del Malconsiglio detta “Mael”, il primo nucleo della struttura fu un torrione posizionato nella parte sinistra dell’attuale costruzione.
Se il pianterreno ospitava un carcere (adibito a partire dal 1602 come deposito del Monte di Pietà), i piani superiori alloggiavano le stanze del Podestà.
Nonostante gli spazi adibiti al servizio, quest’ultimo preferì continuar a esercitare il proprio potere di giudice all’esterno, per la precisione sotto un cavalcavia utilizzato per coprire l’antica strada diretta verso gli altri paesi scalvini.
Il primo ampliamento del fabbricato avvenne nel 1563 quando la Comunità di Scalve acquistò un edificio adiacente di proprietà della famiglia Capitanio dove vennero realizzate le nuove prigioni.
Ben conservate nonostante il tempo trascorso, le celle furono internamente foderate con spesse travi in larice, fermate da spranghe in ferro e chiodi.
Per evitare che i prigionieri fuggissero, l’unica fonte di luce proveniva da una piccola finestrella chiusa da una serie di inferriate, la stessa che veniva utilizzata per comporre il meccanismo dedicato alla consegna del cibo.
Affinché il carceriere non entrasse a contatto con il prigioniero, venne infatti aperta una piccola fessura nello stipite esterno della finestra dove poter metter la ciotola, la medesima che poteva esser successivamente ritirata dall’interno.
A rappresentare la durezza nell’applicazione della giustizia vi era inoltre un anello in ferro usato per fissare le catene della berlina, dove i prigionieri venivano esposti allo scherno dei passanti.
Oltre a ciò vi è inoltre una lapide in pietra, al di sotto della quale troneggia la temibile piastra dove si dice venissero poste le teste dei banditi.
Il restauro realizzato alla fine degli anni ‘90 consentì invece di ricostruire la storia del fabbricato grazie a una serie di strati di intonaco presenti lungo la facciata, l’ultimo dei quali risalente ai primi anni del XX secolo.
La scelta degli esperti consentì di recuperare fregi, dipinti e stemmi che ornavano la struttura a cavallo fra il Cinquecento e il Seicento.
Salendo invece una scala in pietra è possibile raggiungere il “Salone delle Udienze”, all’interno del quale venivano impartite le sentenze di podestà e giudici.
Le pareti conservano affreschi con i blasoni delle famiglie nobili della valle e dei pretori, alcuni dei quali ebbero l’onore di potersi far ritrarre su tele esposte nella sala.
Poche di esse purtroppo si salvarono dai furti compiuti durante la dominazione napoleonica, mentre altri finirono nelle mani delle famiglie di appartenenza dei magistrati stessi.
Oltre al balconcino in ferro voluto da Niccolò Morelli, all’interno del salone troneggia infine un camino in pietra di Sarnico sulla cui architrave è leggibile la scritta “Syllano Licino Juriscons Pretore 1594”.
Fonti
Miriam Romelli; Il Palazzo Pretorio dell’antica comunità di Scalve: simbolo di storia, arte e giustizia; Vilminore di Scalve; Comunità montana di Scalve;1998

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