SCHILPARIO

Schilpario [skilˈpaːɾjo] (Sculpér [skulˈpeɾ] in dialetto scalvino[5], Schilpér [skilˈpeɾ] o Schilpàre [skilˈpaɾɛ] in dialetto bergamasco) è un comune di 1146 abitanti.
L’origine del borgo, intesa come insediamento stabile, risale al periodo della dominazione romana, quando venivano utilizzate le grandi risorse minerarie di ferro e zinco presenti nella zona.
secoli successivi videro il borgo passare sotto il controllo del Sacro Romano Impero guidato da Carlo Magno, che donò l’intera zona ai monaci di Tours. Questi successivamente la permutarono in favore del Vescovo di Bergamo, il quale diede investitura feudale ai Capitani di Scalve.
Questi ultimi furono di fatto esautorati dalla costituzione dell’Universitas di Scalve, una piccola istituzione feudale molto simile ad una repubblica, che garantiva grandi privilegi agli abitanti ed un’autonomia al limite dell’indipendenza. Questa garantiva l’esenzione del servizio militare, libertà di caccia e pesca, nonché sgravi fiscali e la possibilità di sfruttamento delle miniere presenti in zona.
Il 28 aprile 1945, a seconda guerra mondiale ormai conclusa, un gruppo di civili di Schilpario e di partigiani si recò a bordo di un automezzo a chiedere la resa un gruppo di militi fascisti della 1ª Legione d’Assalto “M” “Tagliamento” che si erano radunati presso il passo del Vivione. Presso i Fondi di Schilpario il camion venne attaccato dai repubblichini che uccisero una decina di uomini e ne vilipesero cadaveri. Nei giorni seguenti due superstiti dell’eccidio moriranno per le ferite riportate.
La chiesa parrocchiale, compresa nella Diocesi di Bergamo, è dedicata a sant’Antonio da Padova. Edificata nel XVII secolo in luogo di una precedente chiesa, è dotata di un campanile al termine del quale è posta una statua del santo patrono, nonché di opere pittoriche del Cifrondi e del Carpinoni, e di sculture di scuola fantoniana. Nella navata principale si può inoltre ammirare la statua raffigurante il cardinale Angelo Mai, nativo di Schilpario
Il museo etnografico è stato istituito per preservare e rivalutare la storia, le tradizioni e la cultura delle genti di tutta la Val di Scalve. Grazie all’apporto di documenti, fotografie ed oggetti legati alla vita rurale, si possono ricostruire la vita ed i lavori degli abitanti nei secoli scorsi. Inoltre, essendo la struttura che ospita il museo posta a fianco del torrente Dezzo, è presente una ruota di mulino attivata dalle correnti dello stesso corso d’acqua che azionano il torchio ed una macina per la lavorazione del frumento.
Museo minerario
Le miniere ristrutturate e messe a norma dopo la chiusura dell’attività avvenuta nel 1972, sono visitabili con visite guidate, una galleria in trenino e le altre a piedi.
Tra le aree naturali vi è la valle del Vò posta in una valle laterale ricca di cascate.
La valle è percorsa dal torrente Vò, dal quale ne prende il nome.
La coronano il Monte Bognaviso (2287 m), il Pizzo Tornello (2687 m) ed il Monte Demignone (2586 m), montagne verdi che tuttora mantengono una natura incontaminata, e termina al Passo del Vo.
È percorsa da un’antica mulattiera, utilizzata per raggiungere un forno di fusione del minerale (del quale ne rimane traccia). La mulattiera che la percorre, è il tratto finale della Via dei contrabbandieri, che da Ponte Frera (1373 m) conduceva a Ronco di Schilpario, riedificata dalle donne scalvine in tempo di guerra.
Risalendo la mulattiera si incrociano: la Baita del Venano di sotto (1542 m), la Baita del Venano di mezzo (1679 m) e la Baita di Venano di sopra (1859 m) dislocate nell’alpeggio dal quale prendono il nome, mentre il Rifugio Nani Tagliaferri (2328 m) è situato nell’estremità settentrionale della valle.
Di interesse è la cascata del Vò che, durante il periodo invernale, ghiacciando diventa palestra meta apprezzata per gli arrampicatori.
La vegetazione alterna boschi di abete rosso, pino mugo, ontani e noccioli. La fauna è ricca di camosci.
Novità di quest’anno: la birra Fréra realizzata con l’acqua della miniera e distribuita per ora solo in Val di Scalve.
«Non solo orzo e luppolo dei nostri campi – spiega Gabriele Fontana del birrificio agricolo Pagus -: il nostro birrificio agricolo con questo progetto si avvale anche di un altro ingrediente importante, un’acqua molto particolare».Per la birra Fréra (miniera: traducendo dal dialetto all’italiano il termine fréra), viene prelevata l’acqua accumulata in un laghetto alimentato dalle gocce che cadono dalla volta di pietra della galleria.
«Con questa acqua abbiamo deciso di produrre una birra in stile “bitter” inglese – aggiunge Stefano Visinoni del birrificio agricolo Pagus -. Produzione e imbottigliamento avvengono a Rogno».

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