PREMOLO
Premolo [ˈpreːmolo] (Prémol [ˈpɾemol] in dialetto bergamasco) è un comune di 1102 abitanti
I primi insediamenti nelle nostre valli si ebbero in età neo-eneolitica, quindi circa 3000 anni fa, da gruppi transalpini tra cui gli Umbro-Sabelli, Reto-Ladini, i Tauri, gli Illiri, che comprendevano anche il ceppo degli Orobi. A testimonianza di queste ipotesi vi sono diverse scoperte archeologiche, tra cui i resti di un villaggio pastorizio in località Belloro e il celebre ritrovamento nel 1963 di una tomba con reperti ossei di tre uomini, due donne e tre bambini, selci lavorate e cocci nel Canal de l’Andruna, un antro utilizzato nell’età del bronzo a scopi funerari, che ha permesso di retrodatare la presenza umana nella provincia di Bergamo. Il paese veniva indicato con i nomi di Primolus o Primulus, indicazioni che hanno spinto alcuni studiosi a ritenere che il toponimo derivasse da una contrazione della parola latina Primus locus, ovvero prima località abitata.
Dopo un passato ricco di antropizzazione a scopo estrattivo, per la ricchezza dei minerali presenti in queste montagne, Premolo ora conserva l’identità rurale, preservata e tutelata anche grazie al recupero delle numerose baite e cascine disseminate su tutto il territorio.
L’edificio più importante del paese dal punto di vista artistico e storico, è senza dubbio la chiesa parrocchiale dedicata a sant’Andrea e collocata nella parte centro-occidentale dell’abitato. La struttura primitiva risale ad un periodo prossimo alla fine del XIII secolo, essendo citata in un documento del 1290, anche se nel corso dei secoli venne sottoposta a numerosi lavori di restauro e ristrutturazione.
Al proprio interno sono presenti dipinti e sculture di rilievo, tra cui alcune dell’intarsiatore Andrea Fantoni. Attigua alla chiesa vi è inoltre la cripta ipogea di don Antonio Seghezzi, dedicata al presbitero e partigiano nativo di Premolo, del quale nel 2006 vi sono stati traslati i resti. La cripta è inclusa in un percorso che si snoda nel territorio comunale e tocca i luoghi che ne caratterizzarono la vita: la casa natale e l’abitazione dell’infanzia (entrambe in via Lulini), il monumento ed il luogo della speranza (in località Morandina, a monte dell’abitato).
In ambito naturalistico, numerose sono le possibilità che il territorio comunale offre a chi volesse passare un po’ di tempo immerso nel verde. Si segnala il sentiero dell’Alto Serio che, proveniente dalla Calchera di Gorno e diretto a Cossaglio (frazione di Parre), solca da est ad ovest l’abitato. Poco più a monte, dalla località Bratte, parte il sentiero, contrassegnato con il segnavia del C.A.I. numero 245, che si addentra nella val Dossana e raggiunge la val Gorgolina, laterale di quest’ultima. Nel primo tratto, ristrutturato nei primi anni del XXI secolo è presente un percorso vita, mentre nella seconda parte si possono ammirare una vegetazione rigogliosa e numerose cascine rurali (le baite Lòa e Piazza Manzone, e le cascinae Costa Bruciata e Rinati) fino a giungere presso la baita di Valmora, dove si interseca la traccia numero 240 che, proveniente dalla baita Camplano (posta al confine tra Premolo ed Oltre il Colle), conduce fino al rifugio Santamaria di Leten. Da questa zona è inoltre possibile raggiungere le vette del pizzo Arera, della Cima di Valmora e della cima di Leten.
Inoltre dalla località Belloro, raggiungibile dal centro abitato mediante una strada silvo-pastorale a traffico limitato (a margine della quale è presente il rifugio G.A.E.N., gestito dal gruppo alpinistico di Ponte Nossa), prendono vita le tracce 260, 262 e 263. Le prime due conducono al monte Golla, passando rispettivamente da baita Foppelli e rifugio Golla (gestito dal C.A.I. di Leffe), e dalla baita Piazza; mentre la terza conduce al monte Grem, passando per il bivacco Telini e la baita Mistri, entrambe vicine al confine con Gorno, tanto da essere gestite da associazioni del medesimo comune.
PREMOLO – LA STORIA
Leonardo, 10 anni, che studia da… capraio
Il suo innamoramento per le capre, cominciato quando, tornando dall’asilo, si fermava a guardare i capretti di Massimo Rota che giocavano allegramente nei prati vicini alla scuola, è cresciuto con lui: adesso, 10 anni e scolaro di quinta elementare, Leonardo Longo “studia” da capraio e, a detta del suo “maestro”, sta imparando molto bene.
“Ormai più che un allievo è un collaboratore, mi aiuta in tutte le incombenze del mestiere e io posso affidargliele perché so di potermi fidare – dice Massimo – …E poi per gli animali Leonardo ha una sensibilità speciale, li capisce, è molto attento alle loro esigenze, anche coi cani ci sa fare bene…”.
Ma perché proprio le capre?
“Perché sono simpatiche e intelligenti – risponde Leonardo senza esitazioni – perché sanno come farsi capire, perché hanno facce molto espressive, perché amano fare i dispetti e gli piace giocare… E sono tutte diverse l’una dall’altra, ognuna ha il suo carattere, i pregi, i difetti…Insomma, sono originali, basta guardarle e si capisce di che cosa hanno bisogno. Per esempio se hanno fame, belano alla grande; se hanno sete, lo vedi dalla lingua asciutta e dalla schiuma intorno alla bocca; se hanno voglia di giocare, e soprattutto i capretti ce l’hanno sempre, non ti mollano un minuto, ti stanno intorno, non ti lasciano in pace, quando mi vedono leggere, per esempio, mi tirano la giacca, cercano di mordere le pagine e di togliermi il libro dalle mani…Insomma vogliono la nostra compagnia, c’è la Furba che ci sta appiccicata anche quando siamo intenti a tagliare i rovi col podèt, incurante del fatto che potrebbe farsi male…”.
Le capre hanno tutte il loro nome.
“C’è l’Orégia dalle orecchie grandi, la Grégna che ride sempre, la Bruna, la Nerina, la Bianca, la Bruna… e poi c’è il Gino, il bèk: dopo il primo lockdown tenevo d’occhio l’orario in cui il ‘Maci’ (soprannome di Massimo, n.d.r.) riportava in stalla le capre per andare a salutarlo… La sera poi, quando è bel tempo e le capre passano la notte nei prati qui intorno, chiamo il Gino dalla mia cameretta, prima di mettermi a dormire, e lui mi risponde belando, è il suo modo di darmi la buonanotte”.
Adesso si avvicina un periodo di gran lavoro per Massimo e Leonardo: a fine febbraio comincia la stagione dei parti e ci sarà molto da fare nella stalla della “Merésa ‘d sura”, in Val Dossana.
“Per assistere le bestie durante il parto non sono ancora pronto, però le altre cose che servono le so fare tutte: distribuire il fieno, montare e smontare i recinti, sorvegliare le capre al pascolo, mungere a mano… Qualcuno dice che la puzza delle capre è fastidiosa, ma a me il loro odore piace, sa di selvatico e di libertà”.