CAZZANO SANT’ANDREA
Cazzano Sant’Andrea (kaˈʦːaːno santanˈdrɛa)
Cazzà [kaˈʦːa] in dialetto bergamasco è un comune di 1646 abitanti
Il territorio comunale è interamente collinare e si sviluppa presso la parte centrale dell’altipiano della val Gandino, sulle pendici orientali del pizzo di Casnigo (tra la valle delle Sponde e l’inizio della cresta del monte Farno)
Nonostante l’estensione limitata, l’idrografia è molto ricca. Difatti nel territorio comunale rientra, anche se per un brevissimo tratto, sia il torrente Romna, ovvero il corso d’acqua che bagna tutti i paesi della valle, che sorgenti e piccoli torrenti, dei quali tuttavia nessuno è incluso totalmente nei confini del paese, che raccolgono le acque in eccesso provenienti dal monte Farno e dal pizzo di Casnigo. Tra questi rivoli vi sono quelli che solcano la valle della Brusada, proveniente dalla località Roverò, ed il Vallone del Gazzo (detto anche val Gasc), che scende dal colle Zucchetto (noto anche come colle di san Lorenzo): entrambi confluiscono nella valle Caldara, che scorre a fianco di via valle Gaggio. Quest’ultima si getta nel torrente Re, stessa sorte sia del torrente Togna, che vi confluisce nei pressi della locale scuola materna, che del torrente della valle Morino, che vi si unisce nei pressi del centro consortile di Casnigo. Il Re, un tempo chiamato “Recoldana”, scende da Gandino e confluisce nella Romna appena entrato nei confini di Casnigo.
Sono inoltre presenti alcune sorgenti che fino alla prima metà del XX secolo, quando nel paese non era ancora presente un acquedotto, soddisfavano gran parte delle esigenze idriche del paese. È il caso delle fonti Morino, Cà Manì e Reggiolino che, in seguito alla forte industrializzazione, sono state abbandonate a causa delle pessime condizioni dovute all’inquinamento
I primi segni di insediamenti dell’uomo sul territorio risalgono invece all’Età del ferro, ad un periodo compreso tra il IX e l’VIII secolo a.C., come testimoniato da un’ascia bronzea ad alette terminali, rinvenuta nel 1940 in località Söcc
Come tutti i paesi della Val Seriana fu insediata dai Galli Cenomani, dai Franchi, dai Romani e successivamente dai Longobardi.
Con la Serenissima e l’affidamento dei terreni al Vescovo di Bergamo fu segnata anche dal feudalesimo.
Con il passare degli anni al potere vescovile si affiancò quello di alcune famiglie della zona, che riuscirono ad ottenere sempre più spazio, passando dal ruolo di grandi proprietari a quelli di feudatari “de facto”. È il caso dei Cazzani, famiglia nobile di origine franco-longobarda, che acquisì così tanto prestigio e potere sul paese da far identificare il nome del proprio casato con quello del borgo stesso, che da quel momento venne appunto chiamato Cazano (poi traslato nell’attuale Cazzano).
In ogni caso, la famiglia dei Cazzani cominciò a dotare la propria abitazione con strumenti di difesa, rendendola una piccola fortezza dominata da una torre, che in breve tempo divenne l’elemento architettonico caratterizzante dell’intero paese.
Nel pieno dell’età comunale, come testimoniato da documenti del 1263, Cazzano cominciò a definire i propri limiti territoriali unendosi a Barzizza, centro posto più a monte sulle pendici del monte Farno, nell’entità comunale denominata “Barzizza con Cazzano” ed inserita nella circoscrizione denominata Facta di san Lorenzo.
Difatto Cazzano riacquisì la propria indipendenza sia a livello amministrativo, separandosi da Barzizza nel 1435, sia a livello religioso, ergendosi a parrocchia nel 1459.
In occasione degli scontri tra guelfi e ghibellini, gli abitanti di Cazzano e Barzizza esibivano sui propri stemmi un’effigie raffigurante una zingara danzante che, secondo la tradizione, si fermò nel borgo in epoche remote segnando profondamente gli animi degli abitanti.
Come testimoniato dallo storico Giovanni Maironi da Ponte, la gran parte della popolazione (stimata in circa 300 unità) era impegnata nell’agricoltura e nelle manifatture della lana. A queste, a partire dai primi anni del XIX secolo, si affiancarono le attività estrattive di lignite e, in minori quantità, anche argilla, antrace e carbon fossile. La prima miniera di lignite è documentata a partire dal 1805, con scavi posti presso il torrente Re e lungo la strada che collegava con Gandino. Questa attività si sviluppò in modo notevole, dato che questo materiale venne utilizzato come combustibile nella grande guerra e nel periodo ad essa successivo, tanto che sorsero parecchie gallerie in cui trovarono occupazione numerosi residenti. In una di queste (posta presso l’attuale complesso industriale Radici), il 27 febbraio 1873, si verificò un crollo che causò la morte di 13 minatori.
Contestualmente, e fino al termine del XX secolo, nel paese si verificò un forte sviluppo industriale ed artigianale. Ad aziende dalle grandi dimensioni, quali le fornaci Mosconi ed il tappetificio Radici (inaugurato nel 1951) che sul finire degli anni 1950 occupavano 120 operai su una popolazione di 595 unità, si affiancarono ben presto numerose piccole realtà artigianali, che contribuirono ulteriormente alla ricchezza del paese. Il tutto fu accompagnato da uno sviluppo edilizio e da un conseguente sostanziale incremento della popolazione, che in quarant’anni raddoppiò di numero, passando dalle 675 unità del 1961 alle 1402 del 2001.
L’edificio più importante, sia a livello architettonico che storico, è senza dubbio la torre medievale.
Alta 15 metri, presenta differenti tipi di muratura, indice del fatto che fu costruita e rimaneggiata in epoche differenti. Alla struttura principale, la più antica, nel XIV secolo fu affiancato un corpo utilizzato a fini abitativi, con l’aggiunta di un secondo nucleo (l’attuale cascina Dosso), realizzato tra il XV ed il XVI secolo, che diede alla struttura la configurazione definitiva, simile ad un palazzo fortificato.
Interessanti sono anche altri edifici rustici settecenteschi, tra i quali spicca la Cà Manì, ristrutturata all’inizio del XXI secolo, a fianco della quale è stato realizzato un piccolo parco.
In ambito religioso, il principale edificio è senza dubbio la chiesa parrocchiale, dedicata a sant’Andrea Apostolo. I conti Greppi donarono la pala d’altare, raffigurante il santo patrono, opera del pittore milanese Andrea Appiani. All’interno sono inoltre custodite opere di indubbio valore, quali l’altare marmoreo della Madonna del Rosario e gli Angeli, posti presso l’altare maggiore, opere dello scultore Andrea Fantoni. Interessanti sono anche la statua quattrocentesca del Cristo morto (l’opera più antica presente) che gli affreschi che ornano il presbiterio (episodi biblici) e la volta (episodi della vita di sant’Andrea), opere della famiglia Quaglio.
Animata anche la vita culturale, con concerti di alto livello ospitati nella suggestiva cornice del Torrione municipale. Ogni anno, alla prima settimana di luglio, il paese si mobilita con una sagra nel Parco di Ca’ Manì. Irrinunciabile anche il Mercatino di Natale della prima domenica di dicembre, che propone bancarelle, artigianato tipico e intrattenimenti. Particolare interesse suscitano le iniziative primaverili del “Vintage nel Borgo” e la “Sagra della Cicoria”, che ricorda i piatti tipici di una volta.