UNO DI TROPPO

FABIO PARAVISI Uno di troppo

“Non ci sono altri giorni che questi nostri giorni. Che non mi sia dato di sprecarli, di non sprecare nulla di ciò che sono e di ciò che ho.”

         Italo Calvino

INVITO ALLA LETTURA

Fine Ottocento, nell’antico carcere di Sant’Agata, nel cuore di Bergamo Alta, è successa una cosa mai vista. Qualcuno ha scavato una galleria sotto le mura, ma non per evadere: per entrare. L’enigma sconcerta tutti, dall’esasperante direttore al burocratico capo dei secondini fino alle guardie e all’imponente e inutile Procuratore del re. Inutile indagare fra i detenuti e le suore del reparto femminile: nessuno sa niente. Ma all’improvviso tra i detenuti si verifica un omicidio, poi un secondo. L’indagine si allarga tra filande, assassini e portinaie fino a scoprire una brutta vicenda rimasta sepolta da anni. E a risolverla toccherà all’improbabile coppia di investigatori, Nino e Fendo.

 

FABIO PARAVISI, giornalista al Corriere della Sera, fresco di consegna alla casa editrice del terzo ‘giallo storico’ ambientato in una Bergamo di un mucchio di anni fa. Fabio da appassionato lettore si è trasformato in un altrettanto appassionato scrittore e nelle pagine si respira storia, umorismo, adrenalina e sembra di respirare anche la polvere delle strade di quegli anni, gli umori e gli amori dei protagonisti, gli odori delle botteghe, del piscio delle pecore, del vento che sbatteva all’alba sul selciato.

 

MIA RECENSIONE

BERGAMASCHI DI TROPPO
Sono quelli che non s’arrendono. Così Fabio Paravisi, affermato giornalista da 30anni che ha iniziato a scrivere le storie anche su diversa carta, quella con la copertina, ci porta dentro la storia e i fatti, dentro il fatto e le storie.
Giornalista di cronaca per Il Corriere della Sera di Bergamo Fabio è avvezzo al dolore, alla paura e alla tristezza. Ma è abitudine la sua anche quella di tratteggiare le persone, con i loro vestirsi, per il loro parlare, con il loro muoversi. In questa storia drammatica di 150anni fa, che ne fa venire in mente un’altra di 10 anni fa, ci sono tutti i più bassi caratteri umani. Sottofondo una città operaia, le mura storiche, il carcere in città alta.
Ambientata a Bergamo non può che ricordarci il dialetto apparentemente cialtrone e ottuso, ma dentro quei pota e quelle geremiadi disarticolate emerge la forza di una classe operaia che sgobba una vita intera a testa bassa perché il forte senso del dovere e della rassegnazione sembrano l’unica forza a corredo. Ma, poi arriva il momento che la piena tracima, che l’ingiustizia subita erutta reazioni inaspettate.
Arriva la solidarietà tra forze dell’ordine diverse, tra dialetti differenti, tra ruoli distinti che rifiutano la più grossa delle ingiustizie, quella a danno dei bambini. Dalle parole di un sedicente politico di ieri non posso che ribellarmi e riscrivere le 3 righe che più mi hanno colpito di questo racconto che vi consiglio assolutamente di leggere.
《Io quell’operaia la volevo soltanto chiavare, siamo tra uomini, mi capite. Quella cagnetta invece di starsene tranquilla continuava ad agitarsi, a gridare, a graffiare. Sembrava uno di quegli animali con cui vivono nelle loro stalle. Poi, va bene, quella è morta… alla fine capirete, uno si stufa: nessuno di noi è santo.》Pierina Morosini, Yara Gambirasio e tutte le donne che hanno subito violenza. Ma anche gli uomini che la violenza la mettono in atto e se ne vantano pure o di cui si dicono figli naturali. C’è tutto questo in Uno di troppo.
Ma ci sono anche padri che muoiono di dolore, donne che agognano la vendetta, uomini che si ribellano anche solo andando alla ricerca della verità.
Bravissimo Fabio, hai trovato quell’uno di troppo che si è intrufolato per farsi giustizia: l’amore per le figlie di tutto il mondo.

FABIO PARAVISI

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